L’arte e il bello – Ragazza con l’orecchino di perla – Tutte le mostre – Edmund de Waal

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Simone Rega
Appassionato d’arte dalla nascita, Simone è Storico dell'Arte, Operatore Culturale, Guida turistica e Blogger d’arte di Mantova.
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Appassionato d’arte dalla nascita, Simone è Storico dell'Arte, Operatore Culturale, Guida turistica e Blogger d’arte di Mantova.

In questo numero:

L’arte e il bello ci aiutano a vivere meglio

Tutte le mostre quando e dove vuoi

L’orecchino di perla più riconosciuto al mondo

Storie… bianchissime

Il viaggio della porcellana. Edmund de Waal, artista e scrittore

Buona lettura,

Simone Rega 😉

Dentro il museo. Conoscere a distanza

L’arte che aiuta a vivere meglio 

Non è una di quelle frasi fatte, l’arte può davvero aiutarci a diventare dei cittadini e delle persone migliori oltre che dare un supporto alle nostre esistenze. Essere circondati dal bello aiuta a vivere meglio.

Ed è quello che hanno dimostrato gli studi condotti negli ultimi anni, soprattutto rivolti al rapporto tra l’espressione artistica e le persone alle prese con malattie mentali o neurodegenerative. Questo perché l’arte opera sui circuiti emozionali e aiuta ad esprimere un altro tipo di linguaggio oltre a quello verbale, che non richiede memoria e pensiero logico. 

Vi voglio raccontare di un progetto lanciato nel settembre del 2021 dalla Delegazione FAI di Roma in collaborazione con l’Associazione Alzheimer Uniti di Roma e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.

Il linguaggio del bello permette di svolgere visite museali destinate alle persone con il morbo di Alzheimer, o affette da altri tipi di demenza, insieme ai loro famigliari.

 L’obiettivo è di dare loro una serie di sollecitazioni attraverso la visione delle opere d’arte che funzionano da stimolo cognitivo, emotivo e relazionale.

L’arte, nella fattispecie quella contemporanea, ha la capacità di creare un modello di comunicazione ancora possibile in cui l’immaginazione e la fantasia diventano strumenti che mettono in moto nuove relazioni.

Dovrebbe essere una finalità e una progettualità più presente nei musei che accoglierebbero così un’altra funzione, oltre a quella “più istituzionale”, per diventare anche un luogo aperto, costruttivo e sociale.

L’iniziativa prosegue fino al giugno 2022 ogni terzo mercoledì del mese dalle 10,30 alle 12,30.

Da qui potete accedere all’articolo

Ti racconto. Storie dall’arte

Tutte le mostre quando e dove volete

Un lungo elenco di mostre tutto per voi. Dovete solo scegliere!

Ho deciso di non portarvi in nessuna specifica città ma ho scelto per voi un’idea più congeniale.

Vi riporto il link di tutte le mostre italiane da nord a sud e che potete visitare tra dicembre 2021 e gennaio 2022.

Così sarete voi a scegliere la città, la mostra, il viaggio. Potete anche pensare di fare più di una tappa e costruire un piccolo itinerario di mostre.

Per queste feste scegliete di scoprire, prendetevi il tempo per una gita fuori porta o un piccolo viaggio tra le meraviglie dell’arte.

Non c’è regalo migliore che possiate farvi. Il tempo dedicato all’arte è un toccasana per gli occhi e per il cuore. 

Probabilmente al momento della pubblicazione alcune mostre saranno già concluse ma l’elenco è talmente lungo e completo che sono sicuro troverete più di una soluzione che farà per voi. 

Buon viaggio!

Da qui potete accedere al sito del museo

Zoom. Segni particolari

La ragazza, la perla e il suo turbante. La Monna Lisa olandese

A volte basta davvero poco per riconoscere un’opera.

In questo caso non servirebbero nemmeno gli indizi. Siamo poco dopo la metà del Seicento, nel cognome dell’artista ci sono tre “e” e il dipinto in questione si trova all’Aia. Sono sicuro che ci saranno voluti pochi secondi per riconoscere il dettaglio e pensare subito alla Ragazza con l’orecchino di perla, un olio su tela realizzato da Vermeer nel 1665 e conservato presso il Museo Mauritshuis.

Proverò ad andare oltre i tanti luoghi comuni che hanno reso celebre il dipinto complice anche il romanzo e la trasposizione cinematografica, non sempre fortunata per opere d’arte e artisti.

Infatti l’opera viene anche denominata la “Monna Lisa olandese”, così giusto per capire il grado di iconicità che ha assunto.

Quando Vermeer – il cui vero nome è Johannes van der Meer – realizza l’opera ha poco più di trent’anni e non svolgeva solo la professione di pittore infatti aveva ereditato dal padre la locanda Mechelen – acquistata nel 1641- e quindi era locandiere oltre che mercante d’arte e tessitore.

Nel 1662 viene eletto capo della Gilda di San Luca e confermato anche negli anni successivi significando un ruolo di rispettabile cittadino.

Nel 1672, sette anni dopo l’opera in questione e tre anni prima della morte, la pesante crisi finanziaria provocata dall’invasione francese causa un forte crollo delle richieste dei beni di lusso.

Gli affari, come mercante e come artista, ne subiscono il declino fino a costringere Vermeer a chiedere prestiti. 

La ragazza con l’orecchino di perla appartiene al genere della pittura olandese dei tronien ovvero dei soggetti di genere in costumi storici o esotici.

Il termine, derivante dal francese, significa “faccia” o “muso” in genere caratterizzati con espressioni o particolari caricature.

Nell’inventario dei beni della sua famiglia nel 1676 figurano “tronien dipinti alla moda turca”.

Tuttavia non c’è alcuna sicurezza con cui si possa collegare il dipinto con la firma dell’artista.

Infatti questo è documentato solo dal 1881 quando fu messo all’asta all’Aia da un certo signor Braams e acquistato per una cifra irrisoria – 2 fiorini più 30 centesimi di commissione – dal collezionista Arnoldus des Tombe. Fu infine donato nel 1903 al museo con un lascito testamentario.

La datazione quindi si basa su dati iconografici e stilistici. 

Il dipinto presenta alcune caratteristiche che vanno oltre il tipico ritratto olandese del tempo: il soggetto è rappresentato con una torsione del busto e il viso si presenta di tre quarti verso lo spettatore, un turbante di fascia azzurra le avvolge la testa e indossa un mantello color rame. Un leggero sorriso increspa le labbra facendo emergere subito il confronto con l’opera di Leonardo, anch’essa una derivazione delle tronien fiamminghe ovvero le “teste di carattere”. 

La famosa perla è dipinta utilizzando poche pennellate a goccia, separate l’una dall’altra. Vermeer infatti era in grado di ottenere colori trasparenti applicando il colore attraverso piccoli tocchi ravvicinati.

Questa tecnica – pointillé – punta ad una resa più vivida del colore quasi con un interesse scientifico.

L’orecchino, di grandi dimensioni, cattura l’attenzione dello spettatore e acquista la centralità della scena assorbendone la luce.

Il monile era al tempo dell’artista una prerogativa delle dame aristocratiche e dell’alta borghesia perché rappresentava un oggetto raro e prezioso, importato dall’Estremo Oriente.

Forse una perla di quelle dimensioni in natura non viene prodotta e quindi si potrebbe trattare di una imitazione realizzata in vetro soffiato di probabile produzione veneziana

Queste sono le storie che nascondono la ragazza, l’orecchino e il suo turbante.

Indovinello di questa settimana

I tre indizi per la prossima opera:

Ecco gli indizi dell’opera di cui parleremo nella prossima newsletter.

Questo gruppo di cani e di cacciatori è sufficiente per capire il dipinto in questione.

Siamo poco dopo la metà del Cinquecento, il dipinto è conservato a Vienna e i soggetti stanno camminando sulla neve.

Un piccolo regalo per le feste!

La storia del colore bianco

Occorre iniziare dalle basi.

Il bianco era un colore molto apprezzato e ben presente nella vita quotidiana sia degli antichi che dei moderni.

Assieme al rosso e al nero componeva il sistema  dei colori basilari e così lo troviamo dalle grotte del Paleolitico fino alle pergamene miniate del Medioevo.

Poi c’erano alcune differenze anche di terminologia: l’albus era il bianco opaco  (alabastro o albumina) mentre il candidus rappresentava quello brillante.

Il bianco rimanda subito alla purezza, all’innocenza e spesso lo si trova ancora presente in espressioni negative (andare in bianco, mangiare in bianco, assegno in bianco, notte bianca…) che utilizziamo tutti i giorni.

Pochi sanno che significa anche resa a partire dalla Guerra dei Cent’anni.

Simbologie e utilizzi che sono assolutamente contemporanei. Il bianco veniva associato alla pulizia e quindi tutti i tessuti a contatto con il corpo dovevano essere bianchi.

Le ragioni erano anche pratiche perché facendo bollire i tessuti più e più volte questi potevano correre il rischio di perdere il colore. Perfino a tavola il bianco era in relazione ai giorni di magro ovvero quelli in cui la Chiesa proibiva di mangiare carne. E così sulle tavole medievali avremmo trovato il biancomangiare: latte, mandorle e zucchero.

Nella sfera religiosa la luce – e quindi il bianco – era associata a Dio mentre la Vergine corrispondeva al blu.

Compiendo un salto al Neoclassicismo – anche qui il termine dice già tutto – il bianco era associato alla purezza delle statue antiche che, secondo le credenze del tempo – dovevano essere bianche e quindi pure. Pensate alle statue del Canova. Inoltre, associato ad un tema quanto mai attuale, il bianco diventava colore sociale che dava differenze di status.

Il biancore della pelle era quello che mostravano gli aristocratici per distinguersi dalla pelle più scura degli operai e dei lavoratori sotto il sole. Infatti nelle società di corte ci si ornava il viso di maschere bianche con creme e unguenti realizzate a partire da una base di biacca – carbonato basico di piombo – che alla lunga dava provocava avvelenamento.

Chi bella voleva apparire… L’innocenza, la purezza e la pulizia rimangono le qualità più diffuse del bianco e forse sono i luoghi comuni più difficili da scardinare. Basti pensare all’abito da sposa e il cambiamento che ha subìto: da rosso a bianco.

Così come il colore del lutto che passò al nero solo in seguito mentre ancora nel Rinascimento era bianco.

E concludiamo con l’associazione più cantata e in linea con le festività. Bianco Natale. La neve rimane sempre la magia più semplice in natura. Funziona come lo zucchero a velo. 

Storie da sfogliare

La lunga strada che percorre la porcellana

Non c’è regalo migliore nel periodo natalizio che pensare un libro.

Sì è vero, sarà anche il più gettonato ma solo perché si pensa che abbia le fattezze del regalo “dell’ultimo minuto”.

Forse, spesso, corrisponde alla verità ma facciamo in modo di dedicare il tempo e maggiore cura nella scelta di un libro. Vi posso dare un consiglio che certamente potrà esservi di aiuto.

La parola “porcellana” vi evoca forse la collezione della zia e la sua espressione “ non si tocca” oppure qualcosa da mercatino delle pulci o cose da snob raffinati. Non è così. Il libro che vi propongo, La strada bianca edito nel 2016 da Bollati Boringhieri, vi porta alla scoperta del viaggio che compiono i materiali prima di essere porcellana, gli artisti e le persone che ci lavorano, le storie che si porta dietro questo nome. 

Da Jingdezhen a Venezia, a Versailles, a Dublino, a Dresda, fino alle colline della Cornovaglia e ai monti Appalachi del South Carolina. L’autore incontro le persone che creano, collezionano o hanno a che fare con la porcellana. Si tratta di un viaggio lungo un millennio.

Dagli imperatori cinesi ai loro schiavi; dall’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto II fino al piccolo alchimista da lui imprigionato; dal farmacista quacchero che esplora le colline della Cornovaglia a Lenin e al suo intervento al Congresso dei lavoratori del vetro e della porcellana. La sua invenzione è un fiume che non conosce soste, è una strada bianca che non finisce di essere percorsa.

Due parole sull’autore. Edmund de Waal è artista e scrittore che fin dalla gioventù si dedica all’arte della ceramica. Sua nonna Elisabeth apparteneva alla famiglia Ephrussi, la cui storia viene raccontata in un altro suo libro, Un’eredità di avorio e d’ambra.

Dopo l’Università di Cambridge si dedica al suo sogno: creare vasellame e fondare una fornace, purtroppo senza fortuna. Allora si trasferisce a Sheffield e qui comincia a lavorare la porcellana e si interessa all’arte giapponese che sempre sarà presente – come forme e filosofia – nelle sue produzioni. Si arriva così al 2010 quando esce il suo primo e meraviglioso libro The Hare with Amber Eyes: a Hidden Inheritance.

L’autore ricostruisce la storia della sua famiglia di origine ebraica, gli Ephrussi, attraverso le vicende di una collezione di 264 netsuke, minuscole sculture giapponesi di avorio e legno usate come fermagli nei kimono. Storie e libri che faranno bene all’anima, credetemi. 

Tra (parentesi)

Una rubrica dedicata alle vostre curiosità

Inviateci le vostre domande e Simone vi risponderà nella prossima newsletter. Spesso tra parentesi o tra i riferimenti a margine ci sono le note più curiose e in pochi le vanno a vedere.

Qui invece trovano spazio e trovate spazio voi e la vostra voglia di conoscere.

Alla prossima uscita,

Simone 😉

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